martes, 19 de enero de 2010

L'inganno e la paura


Ho letto in questi giorni il libro di Pino Arlacchi, "L'inganno e la paura". Lo sforzo di leggerlo, che poi non é tale perché il linguaggio che usa é accessibile e la lettura amena ed appassionante, vale veramente la pena. Arlacchi é stato sottosegretario generale dell'ONU. E' sociologo ed é una autoritá in materia di sicurezza. Amico di Falcone e Borsellino - ed é gia un bel dire - conosce profondamente queste tematiche.
Il panorama del mondo che emerge da "L'inganno e la paura" soprende perché contraddice l'idea che abbiamo nel nostro immaginario collettivo di un mondo sempre piú violento, con sempre piú guerre. Per Arlacchi, questa idea non resiste ad un attento analisi sociologico, statistiche in mano. Per il contrario, sostiene che dalla caduta del Muro di Berlino siamo entrati in una fase di notevole diminuzione dei conflitti, ed anche dei delitti commessi dalla malavita organizzata.
Tale affermazione, non significa che l'autore dipinga un mondo color rosa: ci sono gravi  conflitti ed esistono concrete minacce alla pace. Anzi, il titolo del suo libro si ispira precisamente alla strategia sempre piú evidente di voler installare nel mondo l'idea di una permanente minaccia da parte del terrorismo internazionale. Il concetto di "scontro di civiltá", che Arlacchi sconfessa , é funzionale a questa strategia della paura che segue in realtá gli interessi del "complesso militare e industriale" statunitense e dalle grandi corporazioni mediatiche, che traggono diretti vantaggi da questo orwelliano "stato di guerra".  L'aumento quasi del 100% del bilancio del Pentagono dal 2000 in qua sostiene infatti aziende che danno lavoro a milioni di statunitensi, che oltretutto sono votanti spesso ideologicamente sensibili all'idea di una egemonia globale da parte degli USA che assicuri pace, prosperitá ed il mantenimento dello stile di vita del Paese. Nel 2010 il budget della sicurezza, che comprende Pentagono ed agenzie varie, supporrá una spesa vicina ai 1.200 miliardi di dollari annuali. E questo onostante che nel triennio 2007-2008 gli Stati Uniti abbiano contato appena tre vittime mortali per attacchi terroristici.
L' "impero" del quale siamo inevitabilmente parte non é benefico se non per coloro che ne accettano i dettami, ed é forse la vera minaccia oggi per la pace globale. Basta constatare le inclusioni e le esclusione nella lista dei considetti "stati canaglia", dei quali fa parte l'Iran, regime certamente discutibile, ma non piú di quello dell'Uzbekistan, del Pakistan o dell'Arabia Saudita.


Arlacchi non solo denuncia, ma propone costruttivamente. Se la pace in realtá avanza, lo si deve al crescente numero di democrazie nel mondo, che negli ultimi vent'anni, a partire dalla caduta del Muro di Berlino, si sono piú che raddoppiate. Nei regimi democratici, l'uso della forza, e il ricorso alla guerra é rifiutato e sempre piú messo al bando. Ed é questa la radice della pace. La costruzione e la maturazione di un autentico spirito democratico é, altresí, fautrice di maggiore sviluppo.
L'autore dunque suggerisce piste di azione e di pensiero sia per l'ambito politico che per quello della societá civile. Un programma di lavoro che attrae e alimenta un ottimismo realista. Ma sia chiaro che la pace nessuno ce la regalerá: il fatto che avanzi  non vuol dire che non conoscerá crisi. A farla trionfare sará  il coraggio e l'impegno civile.

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