Il 24 marzo si son compiuti 30 anni dall'assassinio del vescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, abbattuto mentre celebrava la Messa. Era il 1980.
Romero fa parte dello sparuto gruppo di pastori della Chiesa che alla dilagante violenza e all'ingiustizia imperante nei loro paesi dell' America Latina seppero opporre la parola del Vangelo. Possiamo riconoscere figure come i vescovi argentini Vicente Faustino Zazpe ed Enrique Angelelli (morti o perseguitati in circostanze mai chiarite) e Jorge Novak, e, in Brasile, il leggendario dom Hélder Cámara.
Non bisogna pensare che affrontarono la persecuzione, le minacce o, addirittura, il martirio con spavaldo coraggio. Col cuore in gola Novak prestava orecchio di notte ai rumori che gli avrebbero annunciato che i gruppi paramilitari o militari erano venuti a prenderlo. Cosí come le sventagliate di mitra contro le finestre intimorivano certamente a Cámara.
Erano uomini, spesso, dolorosamente soli, e son diventati eroi per amore del prossimo e non per sprezzo del pericolo. E ció li fa imitabili, oltre che ammirabili.Essi seppero comprendre. Seppero andare al di lá della loro formazione, della loro cultura per cogliere che qualcosa di grave stava accadendo. Sbaglierebbe chi volesse iscriverli fin dall'inizio della loro storia a un presunto progressismo illuminato. Tutt'altro. Spesso, come nel caso dello stesso Romero, di Cámara o di Novak, in altre circostanze avrebbero alimentato piuttosto un sano sentimento conservatore.
Furono le circostanze a svegliare le loro coscienze, fú il dolore della gente, l'ingiustizia a muovere le loro anime fino al punto di assumersi i rischi che comportava la loro coerenza al Vangelo.
“Quando altrove ci chiudevano in faccia le porte delle istituzioni o delle parrocchie, perché eravamo delle “pazze”, la porta di Novak si aprí per noi e ci ricevette e ci appoggió”, raccontava qualche anno fa Estela de Carlotto, la presidente di Abuelas de Plaza de Mayo che insieme a Madres de Plaza de Mayo da anni cerca di ritrovare i corpi dei desaparecidos o di restituire l'identitá dei bambini nati nelle carceri clandestine della dittatura.
Come ripeteva spesso il vescovo Angelelli, esercitavano la loro pastorale prestando “un orecchio al popolo e l'altro al Vangelo”. E a quell'orecchio giunse il dolore della gente, il terrore seminato da uno spietato terrorismo di stato che si macchió di colpe ben piú atroci di quelle della sovversione.
Le dittature in America Latina non imposero solo un regime politico, ma anche un sistema economico. L'effetto deleterio ch'esse produssero infatti si é protratto ancora per tutto l'arco degli anni '80 e '90, continuando ad accentuare le disuguaglianze. L'America Latina infatti non é la regione piú povera del pianeta, ma la piú ineguale. Le “favelas”, le “villas miserias”, i “cantegriles” secondo i nomi che le bidonville assumono in ogni Paese, convivono fianco a fianco con i quartieri privati piú lussuosi. Il manuale del neoliberismo, scritto in parte altrove, é stato applicato esemplarmente in queste terre.
Furono gli anni delle crescenti sperequazioni, un debito estero spesso artificiale si moltiplicó varie volte fino all'impossibilitá di pagarlo, furono gli anni delle successive privatizzazioni selvagge, del capitalismo piú osceno. Un circolo vizioso che si alimenta. Perché diseguaglianza significa mercato determinato dai settori piú forti economicamente, dunque anche consumo di beni accessibili a tali settori, dunque anche investimenti diretti alla produzione di tali beni e non di altri. E' un circolo che si chiude replicando ovunque povertá, emarginazione ed esclusione.
L' “orecchio posto nel popolo” fece comprendere a Romero ed agli altri tali dure circostanze storiche. E li mosse a ricordare, senza concessioni, che Gesú annuncia il “Padre nostro”, ma ci invita procurarci il il “pane nostro”; che l'amore da lui predicato é anche giustizia, é amore che perdona il figlio prodigo, ma é anche giustizia che ammonisce: “Guai a voi ricchi...”, amore che “colma di beni gli affamati”, e giustizia che depone “i potenti dai troni” e rimanda “a mani vuote i ricchi”.
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