lunes, 13 de febrero de 2012

Siria: Separare la paglia dal fieno

In Siria si riscontra la presenza di centinaia di guerriglieri libici che lottano contro il governo di Damasco. Fanno parte di un gruppo che ha ricevuto appoggio dalla Nato durante il conflitto libico e il cui leader è nel Consiglio Nazionale di Transizione della Libia. Il piccolo dettaglio è che è legato ad Al Qaeda e figura nelle liste di terroristi dell’Onu, gli Usa e il Regno Unito.


La domanda è sempre la stessa: cosa succede in Siria? L’altra domanda che ne consegue, inevitabile, è: perché succede?
E’ quasi una ovvietà che sui media sia in corso una campagna mediatica destinata a presentare il regime di Bashar al-Assad come uno spietato massacratore di civili inermi. Purtroppo, nella gran massa dell’opinione pubblica composta da sbrigativi fruitori di informazioni - poco propensi a ricercare tra la caterva di notizie che ci invade quotidianamente per separare la paglia dal fieno -, questa sortisce l’effetto di alimentare un coro unanime ed un verdetto inappellabile: Assad assassino, deve cadere. Ma questo lo si capisce. Chi ha il tempo di spulciare e confrontare le fonti di informazione dei mezzi stampa e degli inviati? O di cercare riscontri su altre fonti alternative? La maggior parte dei lettori dei media che hanno letto della posizione della Lega araba contro il regime siriano, non ha il tempo di cercarsi il dossier presentato dal capo missione (invitato dalla stessa organizzazione araba in loco), il quale durante un mese ha verificato che sia l’esercito che la guerriglia che vi si oppone stanno provocando un bagno di sangue, spesso con vittime civili, per verificarne la provenienza e la fedeltà al testo della traduzione (1). E non sa che il dossier è stato affossato perché non dice quello che invece si voleva che dicesse: che la colpa è tutta del regime di Assad.
Sia ben chiaro, non che Assad sia esente da colpe, prima tra tutte quella della reazione maldestra e criminale del suo esercito che causato vittime tra i civili. E non è che non esista una corrente di opinione all’interno della società siriana che vedrebbe di buon occhio un suo passo indietro. Ma non in questo modo cruento, dunque non a causa di una sanguinosa guerra civile, ma di un processo interno pacifico e democratico, così come può esserlo nel contesto di quel Paese.
Quanto sta accadendo in realtà è abbastanza evidente per Thierry Meyssan, che lo ricostruisce dettagliatamente ne L’Esercito siriano libero è comandato dal governatore militare di Tripoli (2), ma invece ne offre una visione abbastanza diversa la gran parte dei media, ad esempio La Repubblica (3).
Se però si fa un po’ di memoria, si comincia a notare qualche dejà vu. Febbraio 2003, chi non ricorda in sede Onu il Consigliere di stato Usa Colin Powell la famosa provetta… al borotalco? Erano le  “prove documentate” dell’esistenza di armi di distruzioni di massa in Iraq. Anche allora, l’opinione pubblica era influenzata da un tam tam mediatico che aveva già condannato Saddam Hussein, assassino e spietato dittatore, ad essere deposto da un intervento militare. Poco dopo ci fu l’invasione e delle irrefutabili “prove” dell’esistenza di ordigni diabolici di ogni tipo non se ne parlò più. E non se ne poteva parlare, perché non esistevano, così come non esisteva collegamento alcuno tra Saddam e Al Qaeda.
Intanto, in Afganistan e Iraq era in corso lo spettacolare scontro di civiltà tanto annunciato. I suoi profeti avevano predetto giusto, bisognava agire per portare libertà e democrazia in Medio Oriente e Asia Centrale… se non fosse per il fatto che, in realtà, si scoperchiò nel modo più maldestro e cinico possibile un primo vaso di Pandora di conflitti interni: correnti shiite, come la maggioranza della popolazione irachena, disposte a esportare la rivoluzione komeinista nella regione, si cominciarono a scontrare con la minoranza sunnita sostenuta dalle correnti radicalizzate disposte a imporre la loro versione dell’Islam e ridurre l’influenza iraniana. Per l’Occidente una questione apparentemente secondaria, visto che il principale obiettivo era il controllo dei giacimenti e delle rotte di trasporto delle risorse energetiche, gasdotti e oleodotti.
In Libia il copione non è differito molto. All’improvviso Gheddafi è diventato, da vicino disposto a rientrare nei ranghi della ragionevolezza politica, a nemico spietato del suo stesso popolo. Ma, anche lì, le segnalazioni della presenza di elementi di corpi speciali di vari eserciti occidentali che hanno messo su in poco tempo una guerriglia rivoluzionaria sono passate se non sotto silenzio, nelle pagine meno visibili del mainstram informativo o frammischiate a notizie di ogni tipo nel mare magnum della web. Peccato. Perché sono passati sotto silenzio i satelliti russi che non hanno trovato tracce dei bombardamenti aerei contro i civili a Bengasi, che scatenarono la “guerra umanitaria” a sostegno del popolo libico. Oppure le segnalazioni sulla poco chiara presenza del Gruppo Islamico Combattente in Libia (Lifg per la sua sigla in inglese) considerato dalle Nazioni Unite come espressione locale di… Al Qaeda. Ma no! Ma si!
A settembre 2011 faceva infatti parte della lista stilata dal Comitato di applicazione della risoluzione 1267 del Consiglio di Sicurezza. Ma non si tratta di terroristi solo per l’Onu. Lo sono anche per il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che dalla fine del 2004 li include tra questi. Il Lifg è ancora nella lista e occupa il posto numero 26, e chiunque lo può controllare nel sito web del Dipartimento di Stato (4). Così come è possibile verificare che per il  Dipartimento degli interni britannico il Lifg è ancora proscritto nel Regno Unito (5), perché “cerca di rimpiazzare il regime libico con uno stato islamico radicale. Il gruppo è anche parte di un più vasto movimento estremista globale, anche questo inspirato a Al Qaeda. Il gruppo ha realizzato molte operazioni in Libia, incluso un attentato volto ad assassinare nel 1996 Muhammar Gheddafi”.
Nel 2007 il Lifg fornisce la maggioranza dei kamikaze in Iraq e si fonde con Al Qaeda, lo annuncia lo stesso leader alqaedista Ayman al Zawahiri. All’annuncio della rivolta in Libia, lo troviamo attivo ed appoggiato da forze speciali occidentali. La cosa provoca preoccupazione, e forse anche qualche sentimento più intenso, nel generale Carter Ham, comandante statunitense dell’Africom, al quale viene ordinato di coordinare le azioni alleate in Libia e di difendere gli stessi terroristi che hanno agito contro soldati USA in Iraq e Afganistan. Infatti, poco dopo viene rimosso e la coordinazione affidata alla Nato.
Nell’estate 2011 viene piegata la resistenza del regime di Gheddafi, ucciso il vecchio rais e a capo dell’addestramento dell’esercito della Libia viene posto un uomo del Lifg, Abdelhakim Belhaj. Dunque un ruolo non certo da comprimari quelli assegnati al Lifg dall’altro lato del Mediterraneo. E, certamente, il contatto tra l’intelligence statunitense, francese e britannica col gruppo non è interrotta. Il fatto sta che i guerriglieri del Lifg appaiono ora molto ben armati in Siria, insieme a brigate (o bande?) straniere. Secondo alcuni giornalisti ci sono cittadini siriani che hanno riconosciuto dal loro accento non solo armati libici, ma anche iracheni, giordani, pashtun… Ma lo ammettono anche due fonti “insospettabili”, il nostrano Corriere della Sera (6), che cita la “missione” di Belhaj e del suo vice Al Harati per sostenere la rivoluzione siriana. Per conto di chi? Il Cnt libico? Nel frattempo, Al Harati ammette lui stesso di essere stato, a suo dire, derubato di 240 mila euro consegnatigli… dalla CIA (!). Da dove provengono i fondi che alimentano la guerra civile in Siria? 
I nuclei che Al Harati conduce in terra siriana, specifica l’articolo di Guido Olimpo, sono molto ben armati, ricevono finanziamento e appoggio di forze speciali del Qatar, Arabia Saudita e occidentali, particolarmente britanniche. In Siria però Al Harati c’è da tempo. A dicembre lo incontra l’inviato speciale del giornale spagnolo Abc, che da tempo è schierato sul fronte anti-Assad. Il reporter Daniel Iriarte lo trova insieme ad insieme ad altri guerriglieri libici. Pare che ne risulti sconvolto l’inviato spagnolo che forse sa bene che Al Harati ed un altro suo compagno, Adem Kikli, sono luogotenenti di Belahj e che quest'ultimo figura tra i sospetti dell’attentato di Madrid del 11 marzo 2004. Lo indica lo stesso ex primo ministro spagnolo Josè Marìa Aznar in una intervista al blog della Cnbc dello scorso 9 dicembre (7).
A questo punto bisogna allora fare molta attenzione a considerare come attendibili le versioni provenienti dalla Siria. Esistono elementi consistenti che fanno pensare a un tentativo in atto di provocare la caduta di Al Assad ma non in nome della democrazia e della libertà, ma di altri interessi, non ultimi gli attuali schemi geopolitici, diffusi, variegati che sono coincidenti come in questo caso (8). Al Qaeda allora agisce anche a nome di questi interessi che invischiano l’Occidente. 
Chi vuole lavorare sul serio della pace, in Siria come altrove, deve dunque iniziare a separare la paglia del fieno. Forse la storia della guerra globale contro il terrorismo non è quella che ci è stata raccontata finora.



(1) Consideriamo istruttiva la lettura, di cui riportiamo la traduzione del sito Peacelink:  www.peacelink.it
(2) Su www.megachip.info domenica 12.2.2012.
(3) Pietro del Re, “Siria, ora l’Onu mandi i caschi blu”, 13.2.2012
 (4) http://www.state.gov/j/ct/rls/other/des/123085.htm La sigla  è ovviamente in inglese Libyan Islamic Fighting Group (LIFG).
(5) http://www.homeoffice.gov.uk/publications/counter-terrorism/proscribed-terrorgroups/proscribed-groups?view=Binary
Libyan Islamic Fighting Group (LIFG) The LIFG seeks to replace the current Libyan regime with a hard-line Islamic state. The group is also part of the wider global Islamist extremist movement, as inspired by Al Qa’ida. The group has mounted several operations inside Libya, including a 1996 attempt to assassinate Mu’ammar Qadhafi”.
(6) Guido Olimpo, Corriere della Sera, 11.11. 2012, Brigate internazionali in azione in Siria a fianco degli insorti
(7) 
Intervista all’ ex primo ministro spagnolo Jose Marìa Aznar, dove dichiara: ”or even worst, the Libyan rebel military commander, Abdul Hakim Belhad [sic!], a well-known jihadist who was one of the suspects involved in the Madrid train bombing of March 2004”.  http://www.cnbc.com/id/45600052/Spain_s_Former_Prime_Minister_Jose_Maria_Aznar_on_the_Arab_Awakening_and_How_the_West_Should_React
 (8) Cfr. Alberto Barlocci, Città nuova web, 9.2.2012, Sembra vero, anzi e falso.

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