viernes, 27 de enero de 2012

Hormuz, uno stretto troppo stretto

Dietro la tensione sullo stretto dal quale passa il 20% del greggio mondiale, aleggia la questione del programma nucleare del governo di Teheran. Ma è tutta la regione che rivela un alto livello di instabilità.

L’applicazione di dure sanzioni nei confronti dell’Iran, che prevedono l’embargo nell’acquisto di grezzo del Paese asiatico da parte dei 27 stati membri della UE, potrebbe acuire la tensione già esistente nello stretto di Hormuz. Le autorità iraniane hanno infatti minacciato di chiudere il traffico marittimo in questo punto nevralgico per le rotte delle petroliere. Di li passa infatti il 20% dei quasi 80 milioni di barili di greggio che vengono commerciati ogni giorno sul pianeta.
La geografia della zona aggiunge un elemento ulteriore di complessità al tema. Sebbene è vero che le acque dello stretto sono sotto la sovranità dell’Oman e dell’Iran, in realtà, quasi tutti i punti di accesso allo stretto si trovano in acque iraniane, mentre la maggiore parte delle vie d’uscita si trovano in acque territoriali omaniti. Pertanto, è impossibile transitare per lo stretto senza entrare in acque sotto la sovranità dell’Iran. Sebbene ci si appelli al diritto dei mari che figura nella terza parte della Convenzione delle Nazioni Unite, l’Iran (ma anche gli Stati Uniti, non hanno ratificato questo trattato).
Domandiamo a Pasquale Ferrara, esperto in politica internazionale, se si tratta solo di una questione di diritto marittimo internazionale.

“Ad Hormuz è in gioco qualcosa di più del diritto. Si tratta di un principio politico fondamentale che fa parte delle relazioni internazionali da almeno a un secolo a questa parte, quello della libertà dei mari. E questo indipendentemente dagli impegni assunti, esistono principi che valgono erga omnes, che in questo caso riguardano l’accessibilità dell’alto mare. Non bisogna dimenticare che proprio la violazione di questo principio di alcune guerre. L’entrata in guerra degli USA nella primo conflitto mondiale fu motivato proprio dalla violazione della neutralità in alto mare, in altre parole il diritto di navigazione ed il passaggio inoffensivo davanti alle coste. Esiste però un braccio di ferro di tipo politico e mi pare che l’Iran si stia spingendo in un terreno scivoloso”.

Effettivamente, la questione di fondo è il programma di armamento atomico dell’Iran. Uno si domanda anche qual è il problema che questo Paesi si doti di armi atomiche visto che sia il Pakistan che Israele, suoi vicini, sono entrambi dotati di decine, se non centinaia, di ordigni nucleari.

“Il tema concerne la credibilità del regime giuridico del regime giuridico della non proliferazione. Gli stati che hanno sottoscritto apertamente il Trattato di Non Proliferazione (TNP), devono rispettarne le norme, tra cui quella della la trasparenza, permettendo ispezioni, verifiche, ecc.
Esiste poi la questione della coerenza in politica internazionale della non proliferazione di queste armi al di fuori del TNP. Esistono Stati che non fanno parte del TNP, altri come la Corea del Nord ne sono usciti, c’è una diversità di situazioni giuridiche di cui bisogna tener conto.
Tuttavia il tema fondamentale è quello delle armi nucleari, così come siamo riusciti politicamente a proibire le armi batteriologiche e chimiche o le mine antiuomo, pure poste fuori legge, bisognerebbe arrivare a fare lo stesso con le armi nucleari. E questo è un tema che va al di la della questione  iraniana”.

Forse andrebbe anche rivista la politica nei confronti dell’Iran, dato che sentirsi minacciati potrebbe avallare il ragionamento in base al quale dotarsi di arme nucleari è un deterrente valido per evitare invasioni, come quella dell’Iraq o dell’Afghanistan.

“Questo è un argomento in parte fondato ed in parte usato strumentalmente, le due versioni sono vere. Il tema è che l’area geografica nella quale si colloca l’Iran è estremamente instabile, e questo crea la peculiarità del caso del suo programma nucleare. Pertanto, c’è bisogno di un approccio complessivo del problema della pace nella regione. Ad esempio non esiste nessuna istituzione di sicurezza collettiva dei vari Paesi e pertanto l’area rimane lasciata a se stessa, il che amplifica i problemi politici in modo esponenziale”.

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