lunes, 20 de septiembre de 2010

Il business dell'inquinamento

L'inquinamento ha il suo mercato. Il capitalismo, che nell'ultima crisi finanziaria orginatasi negli Stati Uniti ha dimostrato aver superato ogni limite in materia di etica e di aviditá, non finisce di sorprendere. Almeno gli ignoranti come me. Martín Caparrós, scrittore argentino, riporta nel suo recente libro "Contra el cambio" il curioso -ma poi non tanto- "mercato" delle emissioni contaminanti di CO2 che starebbe per fatturare intorno ai 1.200 miliardi di dollari all'anno. In base al Protocollo di Kyoto (ormai superato e insufficiente, ma questo é un altro tema) ogni paese ha assegnata una quota di emissioni di CO2. Nazioni meno sviluppate o interessate all'affare, cosa fanno?: emettono meno della quota assegnata e la differenza la vendono - grazie all'intermediazione di finanziarie come la ineffabile JP Morgan - nel mercato dei crediti di carbonio. Tale quota viene poi ricomprata da imprese del mondo industrializzato che cosí acquistano il "diritto" a contaminare. La creativitá dei manager di questa "alta finanza" le pensano tutte. Anche quella di comprare 10 milioni di forni ecologici che emettono due o tre tonnellate meno di CO2 all'anno in paesi come Ghana, Kenia, Uganda, per poi acquistare i titoli di quelle emissioni da rivendere a 10-15 dollari. Ossia, investendo 50 milioni di dollari in forni ecologici, ci sarebbe da spartirsi da 200 a 450 milioni di dollari. Niente male come affare. Peccato che di mezzo ci sia il nostro ambiente in quanto bene comune destinato a tutti. Come i vati della crisi statunitense, anche questi magari riceveranno premi e riconoscimenti o la copertina di qualche settimanale di spicco. Tanto, eventualmente, la crisi viene dopo. Vanno tenuti occhi ed orecchie aperte!

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