martes, 23 de febrero de 2010

Isole Malvinas, sovranitá e doppio standard



Per alcuni governi tutti gli stati sono uguali... ma alcuni sono piú uguali degli altri.
Nel 1863 Carlos Calvo, giurista internazionale, uruguayano-argentino, difese la pretesa del Paraguay di sottomettere alla propria giustizia un cittadino britannico accusato di gravi delitti nel paese sudamericano. Londra reagí all' "offesa" mandando una squadra navale. Calvo sostenne un principio, poi convertito in dottrina, sull'uguaglianza e la non ingerenza tra stati sovrani.
Passano gli anni, ma per alcuni governi tale uguaglianza ha un doppio standard: si applica quando fa comodo.  
Argentina e Regno Unito hanno in sospeso la questione delle isole Malvinas. La disputa della sovranitá su queste isole, di importanza strategica per chi ha bisogno di eventuali basi nell'Atlantico sud, presenta vari aspetti controversi. Sia la pretesa britannica che quella argentina offrono il fianco al diritto alla autodeterminazione degli abitanti delle isole (i kelpers). Questi, in realtá, non hanno intenzione di sottomettersi alla sovranitá argentina e preferiscono quella britannica per ragioni di prudenza, dato che nel 1982 le isole furono invase dai dittatori militari del paese sudamericano (il conflitto che ne seguí fu vinto dal Regno Unito) e dato che il PIl procapite dei 2000 e rotti abitanti é di circa 17.000 dollari USA all'anno.
Londra presenta come ragione fondamentale della sua presenza nelle Malvinas la difesa di questo diritto dei kelpers. E fin qui tutto bene, o quasi, se non fosse per l'inizio delle esplorazioni e lo sfruttamento petrolifero 100 km al nord delle Malvinas, in pieno oceano, appena iniziato da parte di compagnie britanniche. Insomma, anche il Foreign Office non é mica Madre Teresa di Calcutta.
Ma a ricordare certi aspetti meno dignitosi della difesa dei diritti altrui, interviene anche la storia. E li Sua Maesta ha una gatta dura da pelare. Perché per difendere il diritto all'autodeterminazione dei Kelpers con un minimo di coerenza morale, Londra dovrebbe fare lo stesso con i 5.000 abitanti dell'isola Diego García.
Facciamo memoria. Diego Garcia si trova a metá strada tra l'Africa e l'Indonesia, nell' Oceano Indiano. E' la maggiore delle isole dell'arcipelago Chagos, a sua volta membro del Commonwealth. I suoi abitanti vivevano della pesca e del turismo attratto dalle sue belle spiagge. Nel 1967 Londra e Washington cominciarono ad analizzare la strategica posizione di Diego García, prossima al Medio Oriente e nemmeno troppo fuori mano rispetto alla Cina e l'India. Non si sa mai. I due governi convennero che una base militare nell'isola sarebbe andata proprio bene. Dunque il governo di Sua Graziosa Maestá, cedette gentilmente e per 50 anni l'isola agli Stati Uniti, i quali convennero all'accordo ma imponendo il trasferimento degli abitanti dell'isola. La base, infatti, venne realizzata in segreto, proibendo l'accesso all'isola di chiunque.
Canone per l'affito, 12 milioni di dollari, a prezzi del '67, per l'acquisto dei (allora) famosi missili Polaris. A partire dal 1971 cominció la costruzione della base. Vennero sradicati gli alberi di cocco, fatti saltare con l'esplosivo i banchi di corallo, spianato il terreno e quant'altro fosse necessario alla costruzione della base.
Ah, la gente. Dimenticavo. Venne traslocata volente o nolente nelle Seychelles e nelle Mauricio, alcuni approdarono nei sobborghi londinesi dove oggi mendicano.
La base é utile. Anzi, utilissima. Da dove partirebbero sennó i B52 per i loro bombardamenti  in Iraq ed Afghanistán? Ed é usata anche come "deposito" dei terroristi nelle mani della CIA fatti sparire da altrove e qui condotti per essere "interrogati" con i metodi che la gestione Bush ha preteso di legalizzare, cioé con la tortura. Vi immaginate lo scandalo se si scoprisse che il governo di Teherán fa lo stesso?
Nel frattempo, gli abitanti dell'isola hanno presentato la loro causa davanti alla Camera dei Lord e la Corte Europea dei Diritti Umani, anche se non hanno ottenuto nessuna decisione del governo britannico a loro favore. Storie di ordinaria ingiustizia.  

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